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Quando le App gratuite diventano a pagamento

Molto scalpore ha suscitato a inizio anno il passaggio, per molti utenti, di WhatsApp a pagamento dopo un anno di utilizzo gratuito, con un canone annuo di 79…

Pubblicato il 12 Mar 2013

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Molto scalpore ha suscitato a inizio anno il passaggio, per molti utenti, di WhatsApp a pagamento dopo un anno di utilizzo gratuito, con un canone annuo di 79 centesimi di euro. Regola che vale per gli utenti Android, Blackberry, Symbian e Windows Phone.

Le polemiche nate a seguito dell’annuncio (nonostante l’informazione compaia nella descrizione sullo Store) evidenziano, da un lato, come ci siano target non disponibili a pagare mediante carta di credito per contenuti e servizi nemmeno qualche centesimo di euro; dall’altro, come sia criticata da alcune fasce d’utenza la strategia delle aziende di far abituare il cliente all’utilizzo di un certo servizio, per poi chiedere un compenso in un secondo tempo.

I ricavi freemium in forte ascesa

La scelta di WhatsApp può essere annoverata nel cosiddetto modello ‘freemium’, sempre più adottato per risolvere il grande problema degli sviluppatori: la ‘monetizzazione’. Secondo una ricerca di AppAnnie, i ricavi da App freemium sono aumentati più di 4 volte su iOS negli ultimi 24 mesi e 3,5 volte su Android nel 2012. Negli stessi periodi, i ricavi da applicazioni pay sono stati sostanzialmente stagnanti. Sulla base del report di AppAnnie, il noto blog GigaOM stima che le App freemium generano il 69% delle entrate in ambito iOS e il 75% di quelle in ambito Android.

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